
Un giorno come un altro. È mercoledì mattina, suona la sveglia, una doccia veloce, l’aroma di caffè, che esce dalla moka inonda il tuo piccolo appartamento; vai al lavoro, sei tranquilla e rassicurata dalla solita quotidianità. Improvvisamente un’ombra di sgomento oscura la tua vita e quella di molte altre persone. L’intera popolazione europea è sconvolta dall’attacco terroristico alla redazione del giornale Charlie Hedbo. Ci risiamo…di nuovo…ecco il solito pensiero che ci attanaglia quando assistiamo impotenti ad avvenimenti così tragici, a rivendicazioni e a minacce così subdole; ecco il ripresentificarsi del nemico occulto, il terrorista, che ci colpisce in un giorno qualunque mettendo a dura prova le nostre sicurezze. Cosa succede nella nostra mente quando siamo spettatori a distanza di tali eventi? Dobbiamo considerare che l’attacco terroristico è un evento traumatizzante per l’intera popolazione, non solo per chi lo subisce direttamente, sia per la violenza legata all’atto, sia per la forma in cui il terrorista colpisce: sempre inaspettatamente, in modo incontrollato e non prevedibile. Tali eventi, infatti, irrompono nella vita di ognuno di noi e vanno a minare il nostro senso di sicurezza, ovvero quella sensazione di fiducia e di benessere che solitamente proviamo nei luoghi famigliari, come la nostra comunità, i mezzi di trasporto, le piazze e il luogo dove lavoriamo. La sicurezza lascia il posto, all’apprensione. Lo stato apprensione, è ulteriormente amplificato dalle dirette televisive, che propongono diverse volte le immagini legate agli attacchi, senza contare che lo sviluppo dei mass media e dei social network ha determinato una maggior area di vicinanza tra gli eventi traumatici e la popolazione; questo avviene particolarmente quando gli attacchi riguardano persone in qualche modo vicine, simili, a noi con le quali è facile identificarsi. L’onda emotiva che ne scaturisce lascia profondi segni in ognuno di noi. Dopo poche ore dall’attacco alla redazione del giornale francese, l’Europa intera manifestava segni di vicinanza e di solidarietà esibendo e postando ovunque cartelli, foto e quant’altro in cui compariva la scritta: Je Suis Charlie. Je suis Charlie, se da un lato l’identificazione, con chi percepiamo simile a noi appaga i nostri bisogni di protezione e di appartenenza, dall’altro ci fa sentire più vulnerabili: “se è successo a loro può accadere anche a noi”. L’attacco terroristico suscita emozioni negative quali paura e angoscia. Il suo fine ultimo è controllare, inibire e condizionare i comportamenti altrui attraverso la paura o meglio attraverso il terrore. Spesso bastano solo gli avvertimenti e le intimidazioni di una possibile aggressione per ottenere effetti sconvolgenti: da sempre la violenza sia agita con comportamenti, sia usata come propaganda, è impiegata come tecnica di pressione sulla comunità intera. In tal modo anche le persone che vivono lontane dalle zone di conflitto, cambiano i loro comportamenti e le loro abitudini. Accrescono inoltre le ostilità e si dilata la diffidenza verso chi è diverso, straniero, estraneo al proprio quotidiano. Il terrorista si serve dei social network e opera sotto i riflettori delle televisioni mondiali; le immagini di violenza e di morte colpiscono all’istante la sensibilità della popolazione e non inducono al ragionamento. Ogni immagine di morte evoca in chi la osserva la propria morte, generando angoscia e disorientamento. Soprattutto negli individui più fragili, tali eventi comportano un aumento di sintomi ansiosi, molti lamentano disturbi del sonno, incubi, altri faticano a frequentare luoghi affollati. Il bersaglio del terrorismo è dunque la nostra emotività; con l’uccisione di poche o molte vittime ottiene il condizionamento inibitorio di tutta la comunità. È fondamentale allora far sempre, riferimento alla nostra quotidianità, alle nostre abitudini e circondarci di persone a noi care, vicine, familiari. Per riappropriarci della nostra sicurezza e stabilità, messa a dura prova da questi eventi, è importante trarre vantaggio dai nostri punti di repère e dal senso di continuità che quotidianamente l’esistenza ci regala. “Viviamo nella paura…ed è così che non viviamo”. Buddha #psicologa #psicologo #terapia #cura #disagio #pazzia #stoimpazzendo #nausea #morire #nodoallagola #disturbo #attacchidipanico #paura #psicoterapia #psicologia
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