Non perdoneremo mai a chi ci ama le nostre rinunce in nome del loro amore”
“ Pensavo che fosse l’uomo della mia vita, era affascinante e brillante, diverso dagli altri uomini con cui ero uscita” . “La sua gelosia inizialmente mi piaceva mi faceva sentire importante, mi ripetevo mi ama, per questo è così geloso. Nessuno mai mi aveva mostrato tanto amore”.
“Matteo è sempre più geloso, mi ha anche chiesto di lasciare il lavoro, vuole che mi dedichi completamente a lui e alla casa…mah si! infondo lui guadagna bene, poi vorremmo dei figli, è giusto che io stia a casa ad occuparmi di loro…così anche lui è più tranquillo, non voglio farlo arrabbiare, quando si arrabbia mi dice certe parole”.
“Ieri abbiamo litigato, Matteo non vuole che esca con le mie amiche, ho dovuto lasciare anche la palestra che frequentavo, perché lui dice che lì ci vanno solo le poco di buono, stavolta era proprio fuori di sé, mi ha lanciato addosso una borsa.
È colpa mia, lo so che è geloso, me la vado a cercare tutte le volte! Dopo mi ha chiesto scusa, è tornato con un mazzo di fiori e mi ha portata fuori a cena”.
Questi pensieri sono tratti dal racconto di una giovane donna Marta (il nome è di fantasia), che per molti anni ha subito squalifiche e maltrattamenti da parte del suo compagno.
Quando pensiamo alla violenza vengono immediatamente in mente, immagini di visi lividi, deturpati dalle percosse, o ad aggressioni subite in strada da parte di sconosciuti. Esiste tuttavia un altro tipo di violenza, quella psicologica che lascia segni profondi nell’anima di chi la subisce, soprattutto se viene effettuata dal proprio compagno. L’uomo che le vittime hanno amato e con cui hanno condiviso desideri, passioni, ed esperienze, si tramuta in un mostro.
È dunque all’interno di una relazione significativa, ma altamente disfunzionale, che l’amore diviene terrore, dolore, colpa, impotenza e vergogna.
Lo stesso sguardo una volta amato ora fa rabbrividire, quelle mani che prima fondevano sicurezza non accarezzano più, ma sono diventate strumenti di terrore e di dolore. Le parole taglienti come spade, feriscono, umiliano, mortificano.
La violenza psicologica, toglie alla vittima la propria libertà, restringendone il campo di azione, umiliandola e manipolandola, per poi terrorizzarla con ricatti e persecuzioni.
Tali atteggiamenti hanno inizio in modo graduale con derisioni e squalifiche subdole, che finiscono per essere accettate e giustificate dalla donna, conducendola ben presto in una spirale di violenze fisiche e psicologiche.
Tale forma di violenza agisce attraverso una comunicazione perversa il cui scopo è la sottomissione dell’altro.
Il partner attua il controllo, isolando la vittima; la donna viene allontanata dalla famiglia di origine, dai parenti, dagli amici, spesso le viene impedito di lavorare, allo scopo di renderla completamente dipendente dal partner così che non sfugga al suo controllo.
Il controllo può manifestarsi inoltre con una gelosia patologica, contraddistinta da sospetti infondati; la donna diviene un oggetto da possedere non le viene riconosciuta nessuna individualità.
Questa forma di maltrattamento è come una bestia che si insinua e cresce nell’animo umano, si nutre ledendo la dignità della donna e ha conseguenze importanti sulla sua salute mentale e sulle sue relazioni.
La vergogna e la colpa che la vittima di violenza prova la porta a nascondersi, a vivere in silenzio e a non chiedere aiuto.
Il femminicidio di cui sono tristemente colme le pagine della cronaca, è la triste epifania di un’escalation di soprusi, umiliazioni, gelosie patologiche, dove il motivo principale che conduce gli uomini alla violenza, è l’abbandono reale o temuto, da parte della loro partner.
È importante che la donna sia aiutata a riconoscere i vari segnali d’allarme ( squalifica, isolamento, controllo ecc) che dovrebbero metterla in guardia.
Nelle relazioni sufficientemente sane vige la reciprocità, l’altro è riconosciuto come separato da sé; ogni membro della coppia mantiene la propria identità, i propri bisogni. La dipendenza conduce i partener ad una sofferenza illimitata perché li intrappola nella paura terribile dell’abbandono.
Se una donna realizza di essere invischiata in una relazione malata, è bene che si rivolga ad professionista perché l’aiuti ad affrontare la situazione, prendendone le distanze.
Senza un aiuto terapeutico, non si potrà cambiare; in questo caso la fantasia de “io ti aiuterò, io ti salverò”, purtroppo non funziona.
Una persona può cambiare e giungere a stare meglio, solo se diviene consapevole del suo problema ed è disposta ad affrontarlo attraverso una psicoterapia.
La donna che ha subito maltrattamenti psichici e abusi, necessita di cure. Ha bisogno di liberarsi dai sensi di colpa, di riappropriarsi della propria dignità e individualità.
La psicoterapia mira ad aiutare la donna, a riconoscere i giochi relazionali che l’hanno resa vittima del proprio aguzzino e alla rielaborazione dei vissuti traumatici, con lo scopo di integrarli nel continuum dell’esistenza.
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